In seguito alla visita del presidente cileno in Italia si prefigurano nuovi scenari senz’altro proficui dal punto di vista commerciale e diplomatico per entrambi i paesi. Il Cile può rafforzare il suo status internazionale di socio affidabile e i vincoli commerciali con l’Europa, anche nell’ottica di ridurre le disuguaglianze sociali interne. L’Italia potrà sfruttare le relazioni con Santiago per guadagnare una posizione migliore all’interno del subcontinente sudamericano e ovviare così anche ai recenti smacchi diplomatici.
Il “Berlusconi” cileno
Da più parti è stata salutata con ammirazione l’elegante discrezione con cui il presidente Piñera ha rigettato qualsiasi similitudine (nel bene e nel male) con il primo ministro italiano Berlusconi.
Di fatto, al di là dell’appartenenza a una parte politica tradizionalmente legata agli interessi di un certo settore della popolazione (l’universo del centrodestra, dalla reazione conservatrice ai moderati liberali, con una tinta cattolica trasversale) e a una comune provenienza dal mondo degli affari, i due hanno ben poco in comune.
Certamente l’imprenditore Piñera, pur avendo rinunciato a gestire personalmente le sue attività da cittadino senza incarichi di governo, continuerà più o meno apertamente a salvaguardare i propri interessi economici da cui, nonostante la presidenza, non potrà prescindere. In effetti l’ingresso di uomini d’affari all’interno del circolo politico decisionale sembra ormai essere entrato a far parte del gioco democratico, dato che sono capaci di mettere in campo risorse difficilmente eguagliabili durante le campagne elettorali e sono forti della propaganda dovuta ai successi economici personali.
La situazione del premier Berlusconi rappresenta indubbiamente un unicum nella storia del conflitto d’interesse, così come la permanenza quasi ininterrotta (voluta, comunque, dall’elettorato) dei suoi governi alla guida del Paese rappresentano una sfida al principio dell’alternanza democratica.
Da questo punto di vista, la democrazia cilena si mostra senz’altro più matura rispetto a quella italiana, nonostante questa abbia dalla sua 44 anni in più di vita e di “esperienza”.
La solidità e le ragioni di Santiago
Il Cile, con il suo nuovo presidente, sta seguendo le orme dei governi che sono stati alla guida del Paese negli ultimi 20 anni, dando la priorità allo stabilimento e al rafforzamento di legami commerciali con i “soci” del sistema internazionale, soprattutto quelli europei, al fine di diversificare i mercati di approvvigionamento e di esportazione come alternativa a Stati Uniti e Mercosur. In questo senso il viaggio di Piñera ha fatto chiaramente vedere come il Cile continui a crescere e a mostrare interesse verso gli investimenti in capitale che possono sostenere e blindare questa crescita. Al contempo, la liquidità europea viene richiamata dalla stabilità dimostrata dal sistema e dall’ambiente politico (soprattutto dopo l’ultima, definitiva prova di tenuta per una democrazia giovane, l’alternanza) che, sfidando anche l’opposizione interna e civile (come nel caso dei progetti infrastrutturali ed energetici patagonici), punta su progetti concreti, anche a lungo termine, ed esalta le potenzialità di crescita di un’economia vivace, quantunque fortemente ingiusta dal punto di vista della ridistribuzione della ricchezza. Il rischio paese è, infatti, quasi inesistente e la dinamicità del mercato avrà bisogno per lungo tempo ancora di capitali stranieri per rimanere tale.
Il Cile di Piñera è un gioiello, una “perla” sudamericana. Nonostante la crisi, continua a crescere. Piñera e il suo governo sono ben consapevoli che, nonostante lo scarso peso specifico, il Paese ogni giorno di più si configura come socio commerciale affidabile. Da qui la decisione del tour europeo per riaffermare e confermare la traiettoria cilena.
Le opportunità per l’Italia nell’attuale congiuntura
L’Italia non poteva certo lasciarsi scappare questa occasione. Il Brasile e l’Argentina, sia per tradizione che per la presenza di una forte comunità italiana, hanno sempre rappresentato la destinazione naturale degli investimenti sudamericani del Belpaese. Sfortunatamente, l’Argentina ha tradito la fiducia dei mercati e solo recentemente sta togliendosi di dosso il marchio del crack. Il Brasile è, ormai, una potenza regionale a tutti gli effetti, per certi versi globale, capace di dialogare alla pari con l’America di Bush e di Obama e forte della cornice multilaterale BRICS. In virtù di questa sua condizione, e scommettendo sulle sue potenzialità di crescita, sta rafforzando molto i suoi vincoli con questi paesi. I quali, tra l’altro, in diversa misura, sono in crescita ed estremamente attivi nell’area delle nuove tecnologie, particolarmente nel settore dello sfruttamento energetico (soprattutto il Brasile), data la necessità di trovare un modo sostenibile per mantenere gli attuali standard di sviluppo.
Poco spazio rimane dunque per l’Italia e per lo più limitato all’industria automobilistica brasiliana (sulla quale, tra l’altro, un Paese non dovrebbe fare completo affidamento per la sua crescita in epoca postindustriale), in cui essa vanta una presenza storica.
Inoltre, in un momento di crisi come quello attuale nel bacino del Mediterraneo e gli investimenti italiani nella regione in pericolo, il Cile potrebbe rappresentare un’alternativa valida nel breve e medio periodo, con tutte le potenzialità per trasformarsi in una realtà commerciale stabile nel lungo.
Finora l’Italia non si è dimostrata capace di mettersi al comando dell’iniziativa europea nel Mediterraneo, né in ambito strategico, né in quello commerciale o relativo alla cooperazione. I “grandi” euroatlantici e la Russia hanno “schiaffeggiato” il governo italiano palesandone un certo grado di dilettantismo e improvvisazione nella gestione diplomatica delle crisi recenti, e lo hanno praticamente escluso da alcuni importanti incontri riguardanti gli sconvolgimenti nordafricani e del Vicino Oriente (“Rivoluzione” Araba, dossier nucleare iraniano, modalità e opportunità dell’intervento in Libia), accusando Roma di adottare storicamente una linea d’azione internazionale che risente spesso di influenze dovute a esigenze commerciali.
Dunque, visti i presupposti, soprattutto in questo periodo, la “svolta” sudamericana potrebbe rappresentare un modo per dare nuova linfa sia alla manovra diplomatica che a quella commerciale italiana (ormai, di fatto, indistinguibile dalla prima). Il rafforzamento delle relazioni con La Moneda sarà estremamente vantaggioso per Roma e schiuderà nuovi orizzonti commerciali. In Europa la Francia, oltre a Germania e Spagna, già da tempo vanta solidi legami con il paese del Cono Sud, mentre l’Italia continuava ancora a guardare al di qua delle Ande. È evidentemente arrivato il momento di penetrare profondamente il mercato cileno, affinché entrambi i paesi possano trarne beneficio.
Povertà: il vero freno alla crescita cilena
Non mancano, tuttavia, le note negative in questa riscoperta relazione italo-cilena. Non è una novità il coinvolgimento di imprese italiane nel progetto energetico Hidroaysen, che promette di sconvolgere alcune vallate patagoniche, spazzandone via bellezza naturali e risorse, e che è stato fortemente osteggiato, anche in modo violento, all’interno del Paese dalla società civile.
Inoltre, durante la visita è mancato un approfondimento sui temi della cooperazione internazionale. Ciò è dovuto, oltre alla mancanza di volontà politica o alla esigenze di “agenda”, al fatto che Roma, negli ultimi anni, abbia delegato la sua attività di cooperazione allo sviluppo a organismi multilaterali, ai programmi comunitari e al sistema ONU. Il resto viene fatto dalle organizzazioni private. Inoltre, si confida negli scambi commerciali come strumento per produrre ricchezza presso le comunità di destinazione.
Piñera avrebbe potuto sottolineare la necessità per il Cile di trovare nuovi sistemi, ideologici e pratici, per affrontare il suo maggior problema, ovvero l’indice di povertà, che continua a drenare energie e punti percentuali alla crescita cilena, altrimenti solida. Non va dimenticato, inoltre, che Santiago ha dovuto rimboccarsi le maniche per lenire le sofferenze del terremoto del 2010, quando il IV governo Berlusconi (a capo di uno dei paesi più ricchi e sviluppati al mondo) ha organizzato un vertice del G8 nella regione abruzzese per sensibilizzare i leader del gruppo e spronarli a impegnarsi per finanziare la ricostruzione dei centri colpiti da un terremoto che certo non ha provocato, da un punto di vista strettamente tecnico – senza voler con questo mancare di rispetto alle vittime – la stessa distruzione di quello cileno o di quello, più recente, del Giappone.
Non si tratta di chiedere un’elemosina internazionale, bensì di sottolineare chiaramente ai soci europei il fatto che, per continuare a rappresentare un porto sicuro e lucroso per gli investimenti esteri, il Cile deve eliminare il problema della povertà immediatamente: su una popolazione di 16 milioni di abitanti circa, il 20% di poveri è decisamente troppo. I fondi europei e la generazione di nuovi posti di lavoro grazie agli investimenti stranieri sono un buon inizio, ma il commercio non è certo l’elisir per tutti i mali cileni.
* Francesco Saverio Angiò ha conseguito la Laurea Specialistica in Scienze Internazionali e Diplomatiche nel 2009, ottenendo il massimo dei voti dopo aver difeso una tesi sulla politica estera cilena, da cui traspare il suo interesse per il Sudamerica e la vocazione per l’analisi delle relazioni internazionali. Dopo un’esperienza nella cooperazione internazionale presso una ONG, è attualmente in attesa di iniziare un periodo di formazione presso l’UNRIC a Bruxelles.
Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autore e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”